Stile ed economia per chi guarda avanti

Il verde rinnova la scena: dry garden, rewilding, massimalismo vegetale

Il verde rinnova la scena: dry garden, rewilding, massimalismo vegetale

Rivoluzione verde in arrivo anche per chi non ha il pollice verde…

Il mondo del design si veste di foglie e di un’eco-filosofia che promette di trasformare i nostri spazi in oasi di vita selvaggia e sostenibile. I giardini non sono più solo un’appendice decorativa, ma un’espressione di un nuovo modo di vivere in armonia con il pianeta. Dai tetti che si vestono di verde intenso agli interni che esplodono in una sinfonia di colori e forme vegetali, la tendenza è chiara: il selvatico è il nuovo chic.

I giardini commestibili non solo abbelliscono, ma anche nutrono, e i dry gardens sfidano la siccità, dimostrando che il verde può prosperare anche nelle condizioni più aride. Se siete alla ricerca di un tocco di natura che richieda poco impegno, il “wilding” è la vostra filosofia. Lasciate che le piante seguano il loro corso naturale, creando un’atmosfera autentica e rilassante. E per chi vuole un’immersione totale nella natura, il massimalismo vegetale porta l’esterno all’interno, con una cascata di verde che invade ogni angolo della casa.

 Ma non è solo una questione di estetica. Il movimento “slow plant” ci invita a guardare più da vicino, a scegliere piante locali che riducono l’impronta ecologica dei nostri giardini. L’horti-futurismo, invece, ci proietta in avanti, verso un futuro dove il giardinaggio è una forma di ottimismo ambientale, un modo per immaginare e costruire un mondo più verde e resiliente.

Katie Dubow, capo di Garden Media, lancia uno sguardo nel futuro del verde: addio ai prati perfettamente rasati, benvenuti giardini da mangiare e tetti che respirano. E questo richiede una nuova scuola di pensiero. Filippo Pizzoni, un architetto e paesaggista di spicco, nonché vicepresidente di Orticola Lombardia e consigliere di Italia Nostra Milano Nord – Boscoincittà, ci dice: «I giovani di oggi sono molto più avanti. Lontani dalle generazioni che vedevano l’uomo come padrone della natura, hanno capito che non comandiamo niente. Dobbiamo costruire un legame con questi esseri viventi straordinari. Dobbiamo separare ciò che ha un vero significato da ciò che è solo una moda passeggera». 

Le tendenze hanno ragioni profonde. Le ha intercettate il Bosco Bioenergetico nella tenuta de l’Annunziata, e il roseto del Castello di Casole, curati e restaurati per andare incontro alle necessità del clima e del territorio. «Siccità e bombe d’acqua» – spiegano – «ci chiedono un impegno sempre maggiore». Vediamo come.

Dry Garden

Il dry garden è l’arma segreta per creare un ecosistema quasi autosufficiente, dove l’acqua è usata con parsimonia e le irrigazioni sono rare gemme nel caldo estivo. Un dry garden ben congegnato può sopravvivere con solo poche irrigazioni all’anno. Con la siccità che diventa sempre più severa, la soluzione potrebbe essere proprio sotto i nostri occhi: basta guardare la natura, l’ecosistema della gariga, quella boscaglia mediterranea che cresce con disinvoltura su sabbia e rocce, sfidando la sete con grazia.

Marta Fegiz, un’esperta di paesaggio, ci svela un segreto per zone dove l’acqua è un bene prezioso:  «Bisogna favorire piante e alberi che prosperano con poco». L’oleandro e il corbezzolo, sono piante da giardino secco resistenti come le graminacee ornamentali: la Stipa tenuissima dai ciuffi piumosi, la Koeleria glauca con le sue spighe sottili, piante tenaci come la Gaura lindheimeri, Gazania e Lantan 

 Per il balcone: l’Erigeron, fiorisce per otto-dieci mesi all’anno; il Teucrium hircanicum, da giugno e a settembre con pannocchie violacee alte anche 40 centimetri; il Centranthus ruber per sei mesi, colori rosa e bianco; la Gomphrena globosa del Cairo offre dall’autunno alla tarda primavera magnifiche infiorescenze purpuree. Le Tillandsie (600 specie sempreverdi perenni, adatte agli ambienti più diversi) richiedono poche cure e hanno una grande capacità di metabolizzare gli inquinanti atmosferici (a Milano dovrebbero essere obbligatorie). 

«Inoltre – dice Fegiz il “new perennial movement” fondato da Piet Oudolf (“l’olandese piantante”), ha fatto accettare l’idea di un giardino più naturale, meno disciplinato, oltre che meno costoso».

Rewilding

E arriviamo al dibattito sul “rewilding”. C’è chi preferisce il termine “selvatico”, chi “wilding” consiglia il paesaggista Antonio Perazzi che sul selvatico ha fondato la sua etica-estetica (I giardini invisibili – un manifesto botanico, Utet). «Dobbiamo coltivare un’intelligenza empatica che si crea quando c’è un dialogo agile con la natura, un dialogo che osserva il selvatico in cui rientra l’autoctono, l’esotico e non ha paura dell’invasivo». 

Vincenzo Signorelli, fotografo e olivicoltore, ha scatenato un fenomeno globale, finendo persino sulle pagine del New York Times. Il suo segreto? Un ecosistema unico, che sfida le convenzioni, sulle pendici dell’Etna. Il suo oliveto è un incantevole giardino selvatico, un’esplosione di orchidee, narcisi alti e fieri, prati di malva e verdure che crescono libere. È un rifugio per tartarughe e api regine in pensione, che trovano riparo tra i muretti a secco.

Vincenzo spiega il suo approccio rivoluzionario: «L’erba trattiene l’umidità del terreno, riducendo il bisogno di irrigazione. Sfidiamo la chimica, gli alberi non si ammalano, e il risultato è un olio superiore, ricco di polifenoli».

Il rewilding è la soluzione perfetta? Luca Catalano, un architetto e paesaggista di talento, vincitore del concorso per il Parco Alibeyköy di Istanbul, ci fa riflettere: «Non siamo abituati a vedere l’ordine nella spontaneità, ma quel disordine è un tesoro». Non si tratta di evitare interventi, ma di non imporre al giardino un’idea preconcetta, come il prato inglese in una zona arida. Il concetto di wilding accetta la spontaneità e la ciclicità della natura – persino l’erba ingiallita ha la sua bellezza. Questo approccio valorizza specie invasive come la pratolina, il nasturzio, il convolvolo, l’asparago e l’euforbia, e si oppone al verde verticale.

Massimalismo vegetale

Il massimalismo vegetale è l’esplosione del verde all’interno delle nostre case, un’abbondanza di piante da appartamento che purificano l’aria e infondono gioia. Ma non si ferma qui: è la trasformazione degli spazi interni in veri giardini, con rampicanti che si arrampicano, felci che penzolano dai soffitti, collezioni di succulente su mensole, e mini-serre che creano un’oasi di vita.

 A volte, l’interno si fonde con l’esterno, un ponte verso la natura che abbiamo cominciato a costruire durante il lockdown, quando abbiamo sentito più acutamente lo squilibrio delle nostre vite. In una visione più ampia, il massimalismo è la passione per la creazione di giardini in posti inaspettati: sui tetti, nei pozzi di luce dei condomini, sulle coperture dei garage. È la capacità di guardare il mondo con occhi nuovi. 

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