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Revolutionary … Food 2026.  Il futuro è fusion. Il cibo adattogeno. La cucina audace.

Revolutionary … Food 2026.  Il futuro è fusion. Il cibo adattogeno. La cucina audace.

Il 2026 si avvicina in punta di piedi alle cucine di tutto il mondo e bussa alle porte di chef, emergenti o blasonati che siano, sventolando la bandiera della  “Big Fusion” inneggiante  a creatività e innovazione.

Tutto più audace che mai, insomma, mentre il cibo si plasma sulle nuove esigenze di mercato e consumatori sperimentando commistioni di gusti, aromi e “profumi” per piatti a dir poco impensabili. Almeno fino a poco tempo fa. Dai Social ai ristoranti dell’intero globo i menu sono viaggi di scoperta tra culture lontane e sapori spesso sconosciuti, e le tendenze parlano il linguaggio internazionale di un melting pot culturale che si riflette con successo in proposte ardite.

Gli chef reinventano secondo una libertà che non dimentica il rispetto ma nemmeno mette da parte la fantasia perché oggi raccontare un territorio significa trasmetterne identità e storia al di là di mere logiche di marketing, intenti commerciali ed autocelebrativi esercizi di stile. Cucinare diventa in questo modo un atto artistico assoluto. E inaspettato.

L’anno che verrà si concentra sul concetto di esperienza multisensoriale facendo del piatto a tavola non solo qualcosa di buono (ovviamente) ma anche e soprattutto qualcosa di accattivante e sorprendente. 

Si andrà oltre le tendenze “Asian-Italian” o “Tex-Mex” che fino ad ora hanno spopolato e sempre più prenderanno piede caleidoscopici menu dove territori lontani si incontrano, culture in apparenza inconciliabili “vivono” nei limiti dello stesso piatto, oltre i confini  del gusto.

Vale per tutti l’esempio dei tacos tikka, un’unione dal successo planetario fra tradizione indiana e street food messicano.  Osare con eleganza. Sperimentare con maestria. Come fanno i  guacamole al pistacchio, magari per accompagnare del salmone o rendere più frizzante un’insalata al radicchio, e i sushi-burritos che incrociano sushi giapponese e tortillas messicane.

La libertà di espressione e sperimentazione lato food arriva lontano fino all’integrazione di tecniche fra cui la liofilizzazione (freeze-drying) per cibi più croccanti dalle texture esplosive, sino all’utilizzo eclettico di cibi fermentati come il Kimchi 2.0, contorno coreano divenuto ingrediente versatile in molteplici piatti internazionali o lo Shio Koji,  insaporitore  giapponese a base di koji di riso, impiegato soprattutto nella preparazione della carne.

Da Proust alla Neurogastronomia

Cucinare e mangiare subiscono una mutazione concettuale che li rende  atti sublimi attraverso cui raccontare, condividere e ricordare in nome di un cibo che diventa  (anche) fattore coesivo di socialità, stimolo sensoriale e (quasi) un attivatore emotivo di proustiana memoria per assaporare momenti felici dal passato al presente.

Il cibo quindi comunica e in questo continuo flusso di comunicazione ci rammenta che aspetto essenziale da cui partire è la formazione culinaria, imprescindibile per conoscere gli ingredienti e le loro interazioni chimiche cosi da ricavarne il massimo secondo un atto di tecnica e coraggio (o audacia, se preferite).

Un altro tassello fondamentale è proprio la Neurogastronomia che in uno stupefacente incontro di neuroscienze, psicologia, gastronomia e design sensoriale ci aiuta a comprendere le preferenze alimentari e a sviluppare applicazioni utili in campi quali la medicina riabilitativa o  la ristorazione stessa.

Studiando in modo mirato come il cervello, attraverso tutti i sensi, elabori e interpreti le informazioni sensoriali per creare la percezione del “sapore” e l’esperienza del cibo, la Neurogastronomia ci prende per mano e ci insegna che il gusto non coinvolge solo la lingua ma un insieme di sensazioni tra cui olfatto, vista, udito (il suono croccante) e tatto compresa l’atmosfera del luogo data da luci, colori, suoni e profumi dell’ambiente in cui ci si trova.

Cibo adattogeno. Agricoltura rigenerativa e Innovazione biotech

Nel mare magnum delle tendenze food in atto o comunque prossime a venire, un altro aspetto molto interessante riguarda il cosiddetto cibo adattogeno ovvero quel cibo che consente sì di stare bene fisicamente ma ha al contempo la capacità di offrire al corpo umane sostanze necessarie ad affrontare situazioni di stress, picchi di ansia e momenti di stanchezza. Le ricette, a questo punto, diventano “mood-based” e hanno una funzionalità precisa: a colazione l’obiettivo è dare la carica e consentire la concentrazione mentre a pranzo ciò che conta è decomprimere, regalarsi una pausa piacevole  di calma. E la sera? Cena fa rima con sonno.

Anche i piatti assumono valenza funzionali e in tal caso  funghi come il lion’s mane, la rhodiola e l’ashwagandha fanno il loro trionfale ingresso nelle cucine dei big chef e in quelle di noi comuni mortali assurgendo da integratori a ingredienti base di piatti quotidiani. 

Oltre il biologico, nasce anche il concetto di “cibo rigenerativo” in riferimento a coltivazioni che non solo rispettano l’ambiente ma lo migliorano persino. Si pensi alle micro-fattorie verticali, agli orti condominiali e alle serre idroponiche condivise che spuntano nelle aree urbane dove gioca un ruolo determinante anche la forte digitalizzazione di massa a cui si accompagna il fenomeno in crescita del cibo quantificato.

Cosa significa? Il nutrimento si fa algoritmico attraverso l’uso di avveniristici sensori indossabili e app nutrizionali di nuova generazione cui il nostro corpo comunica in tempo reale ciò di cui ha bisogno invitando l’Intelligenza artificiale a suggerire tempestivamente all’umano piatti personalizzati in relazione a fatica, mancanza di sonno, attività fisica da pianificare o già svolta. Se poi vogliamo catapultarci in un futuro da fantascienza hollywoodiana ecco che il piatto è servito ed è a base di proteine da CO₂ legate agli studi e alle ricerche di aziende biotech impegnate a realizzare farine proteiche ottenute dalla fermentazione di gas atmosferici. 

Caro Feuerbach, non siamo più ‘solo’ quello che mangiamo ma anche quello che corpo e mente vedono, sentono e vivono. A partire dalla tavola. Sempre.

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