Già il nome, Eyepetizer, crasi fra “occhi” e appetitoso” la dice tutta sullo spirito con cui Federico Vitali e Cristina Guglielmino hanno creato la loro azienda, decisamente cutting edge.
Basta un’occhiata, è sufficiente per posare gli occhi su una manciata di modelli per sentirsi dentro una poesia, un racconto, talvolta un romanzo breve. Il made in Italy si percepisce in maniera vibrante, la narrazione passa per sfide geometriche, tagli a vivo, alchimie formali e cromatiche, senza mai sfiorare la non portabilità. Anzi, ci si trova davanti a qualcosa di nuovo. Nell’accezione di “mai visto prima” e non è affatto scontato!
Soprattutto nel mondo dell’occhiale griffato, spesso prono a tendenze martellanti: vedasi i bold, le montature massimaliste da diva/o, che adesso replicano tutti con la stessa monotonia; o gli aviator, che dai tempi di Top Gun vediamo arrivare sempiterni, tutte le stagioni, con poche reali varianti.
E infatti, qui il seme dell’innovazione scaturisce dai tanti anni passati da Federico a lavorare come agente in Nord Europa, in Francia: “comperavo da aziende estere e distribuivo in Italia, l’ho fatto per 40 anni divertendomi molto -spiega lui – Non ho mai trattato prodotti di grandi realtà, tradizionali, erano sempre articoli di nicchia”.
E quando, a Ibiza, nel 2012, ha preso forma l’idea di creare un’azienda di occhiali made in Italy, Federico aveva ben chiaro l’orientamento da prendere.
“Un prodotto fatto in laboratori italiani, posizionato a livello alto, nelle migliori vetrine di ottica e nei department stores; ma era chiaro già allora che il mercato aveva bisogno di un prezzo democratico, infatti stiamo in media sotto ai 200 euro. Per quattro anni ci ho rimesso, non ho marginato, poi abbiamo iniziato a crescere”.
Metallo e acciaio, niente plastica
Federico disegna, Cristina fa l’amministratore delegato, insieme definiscono la strategia commerciale e l’orientamento del brand.
“Mi ritiro nelle Marche prima di ogni collezione, abito davanti al mare -racconta lui, che fin da subito ha individuato in acciaio e metallo il materiale elettivo. “Avevo già in mente che l’occhiale, sia esso sole o vista, non deve pesare sul viso”. Senza volerlo, l’azienda ha anticipato il concetto che Mahmood ha portato sul palco di Sanremo: leggerezza, originalità, eleganza.
Seconda scelta cruciale, no logo. Nessuno show off. Parla il design, parlano i colori che sono realmente straordinari. E parlano le storie perché “non esiste prodotto senza storia”.
Così, nascono delicate lenti color pastello, forme inusuali, montature in acciaio ultraleggero, finiture oro, argento, canna di fucile.
Nascono gli Eyes cream (qui il copywriting è talentuoso), primi occhiali premontati con lenti colorate da lettura.










I codici narrativi sono infiniti -e ben definiti-, ispirati a film, letteratura, archetipi vari: Moulin Rouge, the Lobby, Ripley, Broadway, Twiggy e tanti, tanti altri. La capacità innegabile è saper tradurre in linguaggio estetico ispirazioni del sentire collettivo, o del patrimonio artistico e antropologico.
I temi sono pensati come una collezione di moda, facendo a volte scelte coraggiose, talora stravaganti, ma che confluiscono in un canale di stile ben identificato.
I primi store e la famiglia Eyepetizers
Eyepetizers ha un negozio pilota a Milano, in via Marsala, che si aggiunge a ai due di Polignano a Mare e di Ibiza.
La vocazione narrativa del brand ha portato alla costituzione di un format audiovisivo, dal nome The Eypetizers (the unroyal family): nato dalla matita di Giulia Bonaldi, scenografa e illustratrice milanese, delinea otto personaggi della family, alquanto eccentrica, nata per raccontare un mondo attraverso lenti di passione, sogno, colore.
