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Il GIUDIZIO UNIVERSALE di Jorge Pombo tra memoria collettiva e riflessione sociale

Il GIUDIZIO UNIVERSALE di Jorge Pombo tra memoria collettiva e riflessione sociale

La mostra Jorge R. Pombo – Giudizio Universale ha appena concluso il suo percorso espositivo allo Spazio Cattedrale della Fabbrica del Vapore di Milano ma l’arte, si sa, ha una forza dirompente che supera i confini di tempo e spazio rimanendo sempre attuale con i suoi  messaggi, più o meno evidenti che siano.

L’opera realizzata da Pombo è un unicum nella storia dell’arte di tutto il mondo con i suoi 180 mq che prevedono una rivisitazione in scala 1:1 del celeberrimo Giudizio Universale di Michelangelo Buonarroti.

Si tratta di un progetto dalla straordinaria forza visiva e simbolica, capace di unire arte, memoria collettiva e riflessione sociale. 

Sotto la vigile curatela di Vera Agosti e Matteo Pacini, l’opera è stata a lungo protagonista di un luogo simbolo della storia produttiva e culturale milanese — l’ex Carminati & Toselli, oggi cuore pulsante di creatività e dialogo —  dove Pombo si è inserito proponendo una rilettura radicale e immersiva del capolavoro michelangiolesco.

Noto per il suo linguaggio della “dissolvenza”, l’artista catalano trasforma le immagini in flussi di colore che si ricompongono sotto gli occhi dello spettatore. Nel suo lavoro la tensione tra il linguaggio classico rinascimentale e la fisicità dell’Action Painting restituisce alla pittura un nuovo senso di movimento ed energia.

Abituato a lavorare in solitudine, per questo progetto Pombo ha scelto di coinvolgere persone in situazioni di esclusione sociale, conosciute grazie alla collaborazione con la Caritas di Reggio Emilia, di Firenze e con il CONSORZIO CS&L Di Milano.

Un processo che ha dato vita a una vera e propria “Cappella degli Invisibili”, dove chi spesso resta ai margini della società contribuisce a costruire un’opera destinata a rimanere nella memoria collettiva. Trattasi dunque, riprendendo le parole di Matteo Pacini, di “un’impresa che non restituisce solo un nuovo significato alla pittura, ma riflette anche sul valore del lavoro e dell’inclusione nella società contemporanea”.

Durante i mesi di Agosto e Settembre, ben cinque sessioni di pittura dal vivo hanno permesso ai visitatori di assistere al processo creativo dell’artista diventando cosi spettatori attivi di intensi momenti di condivisione: il pubblico in sostanza ha visto nascere nuove opere che, entro i prossimi anni, costituiranno l’intero ciclo della Cappella Sistina reinterpretata.

L’opera monumentale è stata esposta in posizione semisdraiata a 45°, con la possibilità di ammirarla nella sua interezza da una balconata a 6 metri d’altezza, mentre sette grandi tele laterali (3 x 5 metri ciascuna) evocano episodi della vita di Mosè e di Cristo, immerse nello spazio come immagini fluttuanti, testimoni di una pittura, quella di Pombo, che come sottolinea Vera Agosti  “è una metapittura: non rappresenta emozioni, ma le genera nella pennellata, nel gesto, nel processo stesso”.

Il progetto, che punta a ricostruire in scala reale l’intera Cappella Sistina in circa cinque anni di lavoro (oltre 1500 mq di pittura), continua ad evolversi come work in progress.

SULL’EMANCIPAZIONE DELLA PURA PITTURA. Il pensiero di Jorge Pombo

“Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa” è un aforisma che riassume molto bene la mia proposta pittorica. Si tratta di un frammento del celebre poema Sacred Emily della scrittrice nordamericana Gertrude Stein (1913). 

La parola parlata è un codice di comunicazione indiretto ma concreto, che stabilisce un legame univoco tra un oggetto ed una determinata combinazione di lettere. 

Ascoltando una sola volta la parola rosa, la associamo all’immagine di questo fiore; la seconda volta, disorientati, pensiamo se ne stia evocando l’essenza, ma alla terza e quarta volta, si sospende la funzione primaria del linguaggio parlato e si aprono le porte ad interpretazioni infinite.

La pittura è un linguaggio, come quello parlato, utile per trasmettere emozioni e riflessioni. In passato veniva usata principalmente per illustrare queste inquietudini umane, ma il XX secolo, grazie ad innumerevoli artisti che, come Gertrude Stein, hanno voluto sperimentare trasgredendo le frontiere tradizionali della funzione dell’arte, ci ha insegnato che è possibile usare le arti per spiegare ciò che non è oggettivo, che non si autolimita ad una sola interpretazione. Lo stesso concetto che René Magritte ha espresso raffigurando nella sua opera una pipa, ed intitolandola Questa non è una pipa (1929).

Nel 1913 Gertrude Stein non risolse alcun problema preesistente nella relazione tra il mondo degli oggetti ed il linguaggio scritto, ma ci insegnò a porre domande pertinenti, a contemplare l’idea che mettere in discussione le regole sia di per sé una proposta creativa, capace di generare un pensiero, pur non essendo formulata come risposta.

La mia pittura guarda a quella della Cappella Sistina, capolavoro della storia dell’arte, con questa stessa intenzione: svuotare le immagini di contenuto e potenziarne la dimensione astratta. Così come una rosa è una rosa ma dopo averla nominata quattro volte si trasforma in altro, confrontarmi con le immagini costruite da Michelangelo, Perugino o Botticelli e diluirle è un modo per trascendere il significato concreto delle immagini che narrano.

Diluirle significa abbandonare quella funzione univoca, colma di idee, di messaggi categorici e moralisti, ed entrare nel territorio dell’intangibile, dell’energia, delle leggi dell’action painting che gli espressionisti astratti newyorkesi hanno esplorato così brillantemente attorno al 1950.

Non a caso, sulla superficie dei miei dipinti non si riconosce alcuna traccia della mia mano, poiché durante il processo di dissoluzione non tocco la tela ed è il solvente versato sopra che ne determina il risultato finale. Rinuncio a impormi, lasciando che l’immagine si costruisca da sé in modo capriccioso e incontrollabile.

GLI ULTIMI SARANNO I PRIMI

La Cappella Sistina fu progettata originariamente da Sisto IV intorno al 1475, e venne completata solo nel 1541, con l’inaugurazione del Giudizio Universale di Michelangelo, quasi settant’anni dopo. Nel frattempo, si erano succeduti nove Papi e la stabilità politica del Vaticano aveva subìto oscillazioni, ma grazie alla magnificenza dei suoi affreschi, era diventato un luogo di culto per artisti provenienti da tutta Italia. 

La Sistina non fu concepita come una cappella qualsiasi, come quelle di altre cattedrali cristiane, ma come luogo destinato all’uso del Papa, nascendo dunque con uno spirito esclusivo ed elitario. Con questa visione, Sisto IV convocò i migliori pittori della città d’arte più importante del mondo: Firenze. Perugino, Ghirlandaio, Botticelli, Rosselli, Tucci, Signorelli, Pinturicchio e sopra tutti: Michelangelo. 

Se dovessi riassumere in una sola idea il motivo per cui ho voluto dipingere una variazione della Cappella Sistina nel 2025, parlerei del mio desiderio di portare la pittura su un piano traboccante, colmo di movimento. I quadri si osservano di solito frontalmente, ma grazie alla visione laterale, riusciamo sempre a percepirne i limiti. Io voglio invece che la pittura travolga lo spettatore come uno tsunami cromatico, come onde colorate in movimento, provocando la sensazione di esser parte del quadro, e che la marea di colore travolga e trasporti, come ci si annegasse dentro. 

Anche la Sistina del 1541 è travolgente: non può essere colta con un solo sguardo; le sue figure sono però statiche, disposte in modo modulare come elementi davanti ad uno sfondo immobile. Questo richiede che l’occhio si trattenga su ogni frammento per leggere le immagini; nelle mie dissoluzioni, invece, non è possibile leggere nulla dettagliatamente: quello che arriva è una sensazione immediata, non la rappresentazione figurativa di una sensazione.

Se dovessi invece riassumere la dimensione spirituale del progetto in una sola idea, sarebbe quella di ricordarci che “gli ultimi saranno i primi”. Perché lo abbiamo dimenticato, perché sembra così normale svegliarci la mattina lontani dalle bombe e dai massacri etnici da farci mancare l’empatia per accogliere chi arriva nei nostri quartieri scappando da queste tragedie. Non ci rendiamo conto di essere nati nella parte privilegiata del mondo per puro caso.

Di solito non ho assistenti, preferisco quasi sempre lavorare da solo, per questo progetto però ho scelto di chiedere aiuto, non per accelerare il lavoro, per conferirgli una dimensione sociale e lanciare un messaggio da rivolgere a chiunque sia disposto ad accoglierlo. I miei collaboratori sono persone in situazioni di esclusione sociale, che ho conosciuto grazie al sostegno della Caritas e del Comune di Reggio Emilia prima, e di Firenze ora, dopo il mio trasferimento.

Questo progetto prevede di completare l’intera superficie della Sistina a grandezza naturale con il mio linguaggio pittorico e, nonostante non abbia ancora un titolo, spesso la chiamo la Cappella degli Invisibili, perché la stanno realizzando proprio le stesse persone che sembrano esistere solo nelle statistiche e nei notiziari. Li incrociamo solo quando ci vengono raccontate le loro disgrazie, e senza accorgercene, li immaginiamo capaci di lavori meccanici o senza qualifiche, frutto di storie personali lontane dalle università o dall’eccellenza culturale.

La mia speranza è che visitando questa mostra, anche il cittadino comune possa scoprire con trasporto la bellezza generata da queste persone, cadute temporaneamente in disgrazia, ed entrate in Europa scappando da contesti a noi inimmaginabili. E che possiamo ricordarlo la prossima volta che incontreremo volti in situazioni simili, al mercato del paese, seduti per terra o all’angolo della nostra strada.

Le opere esposte in questa mostra presso la Fabbrica del Vapore di Milano rappresentano circa un quarto della superficie totale prevista una volta completato il progetto. Il giudizio Universale (la parete più piccola) e sei variazioni sulle pareti laterali corrispondenti a tre episodi della vita di Mosè e tre della vita di Gesù Cristo. 

Man mano che il progetto continuerà a crescere verrà presentato in diverse città, con il desiderio di condividere il nostro messaggio con il maggior numero possibile di persone.

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