Ferrara si illumina di arte fino all’8 febbraio 2026 ospitando a Palazzo dei Diamanti la grandiosa mostra “Chagall, testimone del suo tempo” con un percorso espositivo di dieci sezioni dalla sorprendente intensità emotiva che invitano il pubblico a immergersi nell’universo poetico di uno dei più importanti e amati maestri dell’arte del Novecento.
Questo viaggio straordinario ci rivela sin da subito come Marc Chagall (Vitebsk, 1887 – Saint–Paul de Vence, 1985), universalmente noto per le figure fluttuanti e le colorate atmosfere incantate, abbia saputo mantenere viva la memoria della sua terra natale, della tradizione e degli affetti, proiettandoli sempre verso nuovi orizzonti espressivi.
In esposizione un corpus di 200 opere – tra dipinti, disegni, incisioni, alcuni dei quali presentati per la prima volta in Italia – e sale immersive che consentono di ammirare due sue creazioni monumentali in una dimensione coinvolgente e spettacolare (il soffitto dell’Opéra di Parigi e le 12 vetrate per la sinagoga di Hadassah).
La mostra, caleidoscopica e ipnotizzante nella sua infinita bellezza, evidenzia la profonda umanità di un artista plurale, visionario e testimone del suo tempo, cantore della bellezza e custode della memoria. Volti scissi, profili che si moltiplicano, ritratti che si specchiano: attraverso il tema del doppio egli rivela la sua straordinaria capacità di cogliere la dualità dell’esistenza umana.
E ancora amanti volanti, animali parlanti, bouquet esplosivi, diventano, trascendendo il visibile, metafore universali. Attraverso il suo sguardo poetico, Chagall trasforma l’esperienza personale in riflessione condivisa, svelando come dietro l’apparente semplicità delle sue creazioni si celino temi che toccano ogni essere umano: l’identità, l’esilio, la spiritualità e la gioia di vivere.
In un’epoca di frammentazione, Chagall ci ricorda che l’arte può essere ponte tra mondi diversi, sintesi di tradizioni apparentemente inconciliabili, specchio fedele delle aspirazioni e delle contraddizioni dell’umanità. La sua opera celebra quella verità emotiva che rende tangibili i sentimenti più profondi dell’animo umano, elevando lo spirito verso una bellezza capace di trovare, anche negli orrori del tempo, barlumi di pace e comprensione.
Nel laboratorio segreto di Marc Chagall il tempo sembra sottrarsi alle leggi della fisica e così sembrano materializzarsi sposi che sorvolano campanili, violinisti sui tetti, profeti biblici accanto a capre azzurre e tra un’opera e l’altra si inseguono, dolcissime, immagini dove memoria dell’infanzia e cronaca del presente sono fuse in una vertiginosa simultaneità. Dietro quest’apparente anarchia temporale si cela la lucidità di chi ha attraversato il Novecento come un equilibrista, trasformando la propria esistenza in linguaggio universale.
Per Chagall il racconto pittorico non è trascrizione degli eventi, ma trasfigurazione poetica che custodisce il nucleo emotivo e spirituale. Volti amati, luoghi dell’infanzia, simboli della tradizione diventano memoria che si rinnova, trasformandosi in una esperienza collettiva dove storia personale e universale si riflettono.
La casa natale si affaccia sui boulevard di Parigi, il ricordo di Bella si intreccia con la presenza di Vava come simbolo di un amore che sopravvive al tempo e la memoria biblica risponde alle tragedie del Novecento.
Nei dipinti prende forma una memoria affettiva: ciò che è stato amato continua a esistere, ciò che è perduto può essere ritrovato. È la temporalità del sogno, dove il ricordo non è conservazione passiva ma esperienza viva. Il tempo non obbedisce alla linearità cronologica ma si dispone come spazio interiore, dove immagini lontane e vicine convivono senza gerarchie.
ETERNA MEMORIA
Dolore e bellezza, perdita e rinascita trapelano da ogni opera esposta, segnano il passo del percorso e accolgono in un abbraccio fin dalla prima sezione che rende tributo all’ Eterna memoria e alle radici russe che Chagall manterrà vive nei suoi lavori.
Nato in una comunità ebraica rurale e tradizionale, l’artista saprà trasformare gli elementi di questo mondo in un vocabolario visivo che lo accompagnerà per sempre: il profilo della città con le cupole ortodosse, le casette di legno, i rabbini e i musicisti sui tetti.
“Il paese che ho nell’anima”: così Chagall definisce Vitebsk, sottolineando un legame che va oltre la semplice nostalgia. Anche dopo il distacco dalla Russia nel 1922, dichiara: “Non mi sono mai separato dalla mia terra, la mia arte non può vivere senza di essa”.
Le opere in mostra rivelano come questi elementi non siano semplici ricordi, ma presenze vive. Quando Vitebsk viene distrutta durante la Seconda guerra mondiale, la memoria diventa per Chagall strumento di resistenza: non più solo conservazione del passato, ma affermazione di una realtà alternativa dove una cultura fisicamente annientata continua a vivere attraverso l’arte.
La presenza costante degli animali rimanda alla sua terra d’origine. Galli, capre e mucche non sono semplici elementi decorativi, ma protagonisti di un mondo che l’artista continua a reinventare, mantenendo vivo il ricordo della terra natale.
Il mondo della sua giovinezza non è reliquia di un passato irrecuperabile, ma presenza viva che continua a generare significato e bellezza nelle infinite trasformazioni dell’arte.
LA FONTAINE E LA STORIA BIBLICA
La seconda sezione – Le Favole di La Fontaine: la consacrazione – include incisioni ad acquaforte ispirate appunto a La Fontaine e commissionate a Chagall dal mercante Vollard che lo farà assurgere ad0 interprete ideale per uno dei testi più emblematici della cultura francese. Nella terza sezione – Quando la Storia Biblica incontra la cronaca contemporanea – troviamo un’opera dipinta al ritorno dall’esilio americano: “Exodus” o “La nave dell’Esodo”, che mostra come Chagall utilizzasse i racconti biblici per interpretare eventi contemporanei. L’artista sovrappone due episodi: l’Esodo biblico dall’Egitto e la fuga degli ebrei europei dalle persecuzioni naziste, trasformando la cronaca in mito universale.
La struttura verticale dell’imbarcazione richiama un’arca, con figure disposte su più livelli come nelle miniature medievali. Al centro, una grande croce simboleggia la sofferenza universale, unendo iconografia cristiana e memoria ebraica in un unico spazio visivo. I colori dominanti – blu e verdi freddi – sostituiscono la consueta luminosità chagalliana, ma lampi di luce bianca si diffondono come bagliori salvifici.
La figura della madre dolente e le altre presenze umane disposte nell’imbarcazione rappresentano invece tutti coloro che nel corso della storia hanno dovuto abbandonare la propria terra. Attraverso il linguaggio biblico Chagall riesce a parlare sia della tragedia specifica sia dell’esperienza universale dello sradicamento.
L’opera dimostra come l’arte possa essere testimonianza storica mantenendo la dimensione simbolica: ogni esodo diventa eco di tutti gli esodi, ogni persecuzione richiama tutte le persecuzioni. La forza visionaria della pittura trasforma l’episodio contemporaneo in riflessione eterna sulla condizione umana.
“EXODUS” 1947 E LA NASCITA DELLO STATO D’ISRAELE
Nel 1948 Marc Chagall dipinse Exodus o La nave dell’Esodo, trasformando un drammatico episodio della cronaca contemporanea in racconto biblico universale.
La storia aveva come protagonista l’Exodus 1947, una nave battente bandiera dell’Honduras con a bordo 4.515 ebrei in gran parte sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti. L’obiettivo era raggiungere la Palestina, allora sotto mandato britannico, nonostante le severe restrizioni imposte nel 1939 che avevano drasticamente limitato l’immigrazione ebraica per placare le tensioni con la popolazione araba locale.
L’11 luglio 1947 la nave ufficialmente diretta in Colombia salpò verso la Palestina ma il 18 luglio, a soli 40 chilometri dalle coste palestinesi, le forze britanniche riuscirono a prendere il controllo dell’Exodus e alla fine i passeggeri vennero trasferiti su tre navi dirette nuovamente verso la Francia il cui governo però rifiutò lo sbarco e dopo tre settimane di stallo diplomatico i britannici dirottarono le navi verso Amburgo.
La vicenda dell’Exodus assunse rapidamente una dimensione politica e l’opinione pubblica internazionale si mobilitò tanto da indurre le Nazioni Unite ad occuparsi dell’accaduto in via ufficiale.
La storia dell’Exodus contribuì in modo decisivo alla fine del controllo britannico e alla nascita dello Stato d’Israele l’anno seguente.
PARIGI E LA POESIA DI CHAGALL
Parigi dopo l’esilio è il titolo della quarta sezione espositiva in cui la capitale francese diventa città interiore avendo rappresentato per Chagall una sorta di spazio della scoperta e del ritorno, della libertà e della memoria. Se Vitebsk è la radice da cui trae nutrimento, Parigi è il terreno che libera il suo linguaggio poetico. Dopo l’esilio americano, il ritorno nella capitale francese segna una nuova fase creativa: la città non è più l’atelier a cielo aperto degli anni Dieci, ma il luogo della maturazione poetica dove l’esperienza si trasforma in visione, dove la memoria filtra il presente e lo reinventa attraverso il colore.
Tra le opere La sposa sopra Parigi in cui l’espressione poetica raggiunge il suo apice: una sposa azzurra fluttua sopra la città–icona. Chagall crea un campo cromatico uniforme attraverso le gradazioni del blu, dove la figura trova sostegno nell’aria resa materica dal colore. Amore, maternità e paesaggio urbano si fondono in un’unica visione sospesa nella quale Parigi diventa scenario di una sacra rappresentazione laica.
In Ricordo del Flauto magico l’artista evoca l’opera di Mozart per la quale aveva realizzato scenografie anni prima. Al centro della composizione, dentro una grande mandorla blu che si apre come un teatro, si vedono piccole figure tra cui un violino dorato che vola riempendo lo spazio della sua musica, e un essere piumato – forse Papageno, il personaggio che cerca solo la felicità semplice, simbolo della gioia quotidiana, di quella magia che si nasconde nella vita di tutti i giorni.
“Paris reflet de mon coeur”, Parigi riflesso del mio cuore. Queste parole racchiudono l’intensità del legame durato settant’anni tra Marc Chagall e la città che ha trasformato la sua arte.
RITRATTI, MATERIA E … MEDITERRANEO
La quinta sezione – Volti e riflessi – si concentra sul tema del volto che in Chagall non è mai dato univoco quanto piuttosto qualcosa che si sdoppia e si moltiplica poiché’ riflette un’identità complessa, sfaccettata.
Nei suoi ritratti sperimenta soluzioni innovative: due profili che si guardano, volti che si sovrappongono, immagini che si moltiplicano. Non è ricerca formale fine a se stessa, ma elaborazione di un linguaggio capace di restituire la complessità dell’essere umano, l’impossibilità di ridurre una persona a un’immagine unica.
Questa indagine sull’identità trova nel mondo del circo la sua rappresentazione più eloquente e proprio come i clown anche noi portiamo maschere che però possono essere autentiche quanto i volti che nascondono.
In dialogo con la materia è invece il tema della sesta sezione. Infatti nelle opere di Chagall materia e supporto non sono semplici mezzi, ma protagonisti del racconto, ognuno con il suo ruolo preciso. L’artista non cerca la tecnica perfetta: cerca quella giusta, quella che possa dare forma alle sue visioni. Ogni supporto viene scelto per le sue proprietà specifiche: carta, tela, masonite diventano strumenti per esprimere un linguaggio che si arricchisce attraverso una sperimentazione costante.
Nelle opere esposte emerge tutta la ricchezza di questa operazione. L’acquarello su carta gli consente di creare atmosfere sospese, dove i toni si fondono con delicatezza. L’inchiostro, utilizzato sia puro sia in combinazione con altri materiali, svela la sua straordinaria sensibilità grafica: il segno, ora fluido ora incisivo, traduce in immediatezza visiva l’energia vitale che anima le sue figure. Con il tempo tende a combinare tecniche e materiali: gouache, pastello e inchiostro dialogano con le diverse superfici creando un tessuto visivo complesso che riflette la profondità dei significati.
La settima sezione – Mediterraneo – ci introduce all’incontro di Marc Chagall con il Mediterraneo, per l’appunto. Egli trovò nel Sud della Francia gli spunti per elaborare un nuovo vocabolario visivo plasmato dalla luce, dal colore e dal calore. Dai primi soggiorni a Peira–Cava negli anni Venti fino al trasferimento definitivo a Vence nel 1950, il Mediterraneo divenne per lui sia rifugio sia fonte di ispirazione. I suoi intensi contrasti cromatici e i paesaggi antichi gli offrirono uno spazio di reinvenzione dopo la guerra e l’esilio.
LE VETRATE DI HADASSAH
“Per me una vetrata è una barriera trasparente tra il mio cuore e il cuore del mondo.” Cosi si esprimeva Marc Chagall parlando delle Vetrate a cui è dedicata l’ottava sezione.
Le vetrate da lui create si distinguono per il loro approccio radicale al colore e alla forma narrativa. Abbandonando la più consueta struttura frammentata, Chagall predilige ampi campi di colore per definire vere e proprie zone tematiche.
Chagall utilizza la grisaille, tecnica monocromatica simile al lavis d’inchiostro, che valorizza il gioco tra luce e trasparenza, intensificando la luminosità del vetro. Celeberrime le Vetrate di Hadassah.
Concepite nel 1959 su invito di Miriam Freund, presidente dell’American Hadassah Women’s Zionist Organization, e dell’architetto Joseph Neufeld, le vetrate furono realizzate per la sinagoga del nuovo Hadassah Medical Center di Gerusalemme.
Chagall, toccato dal peso simbolico del luogo e dal significato dell’Israele del dopoguerra, accettò l’incarico di progettare dodici finestre rappresentanti le Dodici Tribù di Israele. Eseguite in collaborazione con il maestro vetraio Charles Marq tra il 1960 e il 1962, le vetrate combinano iconografia biblica e temi liturgici ebraici
Le vetrate cambiano continuamente il loro aspetto con il trascorrere delle ore della giornata, variando in intensità e colore. Questa costante trasformazione richiama l’idea che la storia sacra non sia immutabile, ma continuamente reinterpretata.
OLTRE LA COMPOSIZIONE FLOREALE
Arrivando alla nona sezione – Il giardino che non esiste – ci si trova davanti ad opere dal tema floreale: immagini monumentali che attraverso la celebrazione della bellezza del dato naturale rivelano una profonda esplorazione dell’identità dell’artista.
In L’Atelier de Saint–Paul la composizione floreale nel vaso prominente sul tavolo dello studio, accanto ai pennelli dell’artista, assume una profonda dimensione autobiografica.
Il motivo del vaso riveste anche un significato simbolico: la sua intrinseca mobilità richiama l’esperienza dello spostamento. Spesso collocato in contesti ambigui, il vaso diventa emblema dello sradicamento, riflettendo la vita stessa di Chagall, segnata dall’esilio e dalla migrazione. Allo stesso tempo, è un contenitore che custodisce la bellezza dei fiori senza la certezza di radicamento, suggerendo una condizione eterna di impermanenza.
LA VIE et LA PAIX
A suggellare la conclusione di un percorso così intenso, ci pensa la decima sezione – La Pace.
Nel 1949, al ritorno dall’esilio americano, Chagall dipinge “La Pace”. Dopo anni di guerra e sradicamento, l’artista affida a una colomba bianca il suo messaggio di speranza. Non è retorica, ma necessità: chi ha vissuto la fuga, l’esilio, la perdita della patria, sa quanto fragile e preziosa sia la pace.
La colomba porta un libro aperto sulla cui pagine si leggono “La Vie” e “La Paix”. Per Chagall la vita e la pace sono inscindibili. In basso, un uomo e una donna simboleggiano l’amore. Sullo sfondo, i tetti e la cupola della sinagoga evocano la sua amata Vitebsk, i legami e i valori che resistono a ogni tempesta.
La Pace conferma Chagall come testimone del suo tempo: un artista che non ha mai distolto lo sguardo dalla storia, ma l’ha attraversata mantenendo intatta la fiducia nell’arte.




