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Illuminare Caravaggio? Un’arte in sé stessa!

Illuminare Caravaggio? Un’arte in sé stessa!

La mostra appena chiusa a Palazzo Barberini regala un primato allo storico luogo e alle Gallerie di Arte Antica: 450.000 visitatori in 137 giorni. La malìa di Michelangelo Merisi non smette di incantare e quest’ultimo tributo è stato frutto di un enorme lavoro da parte dei curatori, Francesca Cappelletti, Maria Cristina Terzaghi e Thomas Clement Salomon.

La mostra ha presentato 24 opere autografe del Merisi , tutti capolavori assoluti provenienti da importanti collezioni internazionali, nazionali e private. Tra i prestiti più eccezionali; Bari dal Kimbell Art Museum di Fort Worth; la Santa Caterina del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid; l’ Ecce Homo recentemente riscoperto, il Concerto del Metropolitan Museum di New York e la Conversione di Saulo (nota come Pala Odescalchi ), raramente esposta al pubblico, che resterà in via straordinaria a Palazzo Barberini fino al 30 settembre 2025.

La potenza narrativa e la verità pittorica di questo eterno maestro necessitavano comunque di essere…illuminate. E qui è intervenuto un maestro del nostro tempo, seppur in un altro ambito che concerne comunque la gestione della luce, Francesco Murano. 

Trovarsi davanti capolavori come La Fagellazione di Cristo e Davide con la testa di Golia, già irradianti e doverli reinterpretare nel contesto di un allestimento illuminotecnico significa costruire una narrativa senza “disturbare” la percezione originaria. 

Una “scrittura di luce”

Murano descrive questo lavoro come una “scrittura di luce”, pensata per indagare la struttura interna delle opere. “Caravaggio non va solo illuminato: va compreso nelle variazioni che la luce produce sulle opere a seconda che il raggio provenga da destra, da sinistra o dall’alto ma senza che ciò riduca o enfatizzi la teatralità della composizione” afferma. «Ho modulato le intensità e le direzioni in modo che il chiaroscuro non diventasse effetto, ma necessità. Ogni opera si manifesta nella luce e con una luce che non si impone, ma accompagna e suggerisce. Nel caso dell’Ecce Homo, ho voluto che il volto di Cristo affiorasse dal buio e il visitatore fosse propenso tanto al dialogo quanto alla visione”.

C’è però un’opera che per Murano rappresenta qualcosa di unico ed è la Flagellazione di Cristo. 

È la seconda volta che illumino questo capolavoro: la prima fu nella mostra “Gli occhi di Caravaggio” curata da Vittorio Sgarbi nel 2011. Allora come ora è stata sufficiente una sola luce per far risplendere il corpo di Cristo, un miracolo di illuminazione che forse va cercato nelle conoscenze alchemiche del cardinale Francesco Maria Del Monte, mecenate di Caravaggio. E mi piace immaginare che il Cardinale abbia suggerito al Maestro una “pozione magica” in grado di catalizzare la radiosità dei pigmenti impiegati”.

La competenza di Murano fa sì che le sorgenti luminose dialoghino con le superfici pittoriche in un tutto omogeneo, che generino volumi spaziali e prospettive visive in grado di valorizzare i capolavori. E questo fa insorgere alcune domande d’obbligo sul ruolo della luce nell’arte: non solo elemento tecnico necessario, ma parte della narrazione, capace di modulare le percezioni di chi guarda. 

La Conversione di Saulo in mostra fino al 30 settembre

Palazzo Barberini ospiterà in via eccezionale il capolavoro su tavola del Merisi, insieme a una copia ad altissima definizione della Conversione realizzata per la Cappella Cerasi, nella chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma. 

Nel 1600 il banchiere Tiberio Cerasi commissionò a Caravaggio due dipinti per la sua cappella di famiglia. Per ragioni ancora poco chiare, le due opere – tra cui la Conversione di Saulo – non furono mai esposte nella Cappella. Perciò,  il Merisi ne realizzò due nuove versioni , questa volta su tela, che oggi si possono ancora ammirare in Santa Maria del Popolo a Roma, di proprietà del Fondo Edifici di Culto.

La pala originaria, invece, dopo vari passaggi di proprietà, è confluita nella collezione di Nicoletta Odescalchi , a cui appartiene tuttora. Le due versioni rappresentano un’emotività diversa: una è densa di colore e pathos, l’altra più intima e riservata. 

La vera novità consiste nell’esposizione della riflettografia infrarossa del dipinto, realizzata in occasione del restauro nel 2006: uno strumento che consente di evidenziare le scelte tecniche compositive e adottate da Caravaggio. Scopriamo così che il volto di Paolo è stato modificato più volte, che Cristo al principio era senza barba. La riflettografia ha rivelato anche incisioni a stilo, disegni a pennello e numerosi ripensamenti: il volto di Paolo è stato modificato più volte; Cristo era inizialmente senza barba; sono evidenti variazioni nelle armi, nella vegetazione e nei dettagli decorativi. A rendere ancora più vibrante la superficie pittorica contribuisce infine l’impiego di pigmenti pregiati e rari per Caravaggio, come l’azzurrite, l’argento e l’oro.

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